Quando attraverserete una colonia
messicana dalle basse casette di mattoni grezzi e le strade di terra
battuta, probabilmente vi imbatterete in un branco di cani randagi.
Come gli abitanti, della colonia, i
cani randagi vivono alla giornata, sfamandosi degli avanzi che il
destino fa loro trovare.
Sanno dove vive la doña che gli vuole bene
e conoscono l'orario di quando apre la porta per depositare ossa e
tortillas secche.
Arrivano puntuali, attendono che la
doña metta gli avanzi sul marciapiede, senza precipitarsi sul cibo,
senza spaventare la benefattrice.
Poi, in ordine gerarchico, si
avvicinano e mangiano.
Alcuni cani che a prima vista sembrano
randagi, in realtà, una casa ce l'hanno. Solo che i padroni, la
mattina, aprono loro la porta e li lasciano in strada tutto il giorno
con le conseguenze che immaginate.
I cani infatti possono accidentalmente
mordere qualcuno, magari un bambino, o causare un incidente stradale.
A volte, tale destino tocca anche ai figli con conseguenze, se
vogliamo, ancora più drammatiche.
Chi ama gli animali non vede con
favore questo modo di fare ma in Messico, in queste colonie in
particolare, i problemi sono altri.
I cani randagi conoscono il loro
territorio, il carattere di ciascun abitante colonia; dalla generosa
doña, ai teppistelli che li prendono a sassate.
Arretrano di fronte
ad una scopa, scodinzolano quando depositate del cibo sul
marciapiede. Non si aspettano carezze perché qui non è abitudine
accarezzare animali pulciosi o con la rogna.
In genere i cani non causano problemi
perché sanno che, in caso di disordine, arriva l'accalappiacani che
fa una retata e i cani catturati saranno poi fritti con la corrente
elettrica.
I cani randagi o semirandagi conducono
una vita tutto sommato soddisfacente, fra lunghe dormite all'ombra
degli alberi, avventurose passeggiate in branco, amori e lotte
gerarchiche.
I loro fratelli domestici vivono in
piccoli cortili di cemento o sui tetti delle case, sotto il sole
cocente. La loro funzione non è certamente quella del cane da
compagnia ma fungono da allarme. Se qualcuno si avvicina alla casa,
loro abbaiano e i proprietari possono prendere provvedimenti.
Anche nel mio quartiere c'era un branco
di randagi; si trattava di sette o otto esemplari di meticci di media
taglia. Si radunavano nei pressi di una cocina economica, una specie
di trattoria tipica messicana, e aspettavano che le cuoche dessero loro carne ed
avanzi.
Erano cani così tranquilli, così
fiduciosi del loro futuro (che dal mio punto di vista era invece
piuttosto incerto) che li soprannominai: gli zen.
Gli zen dormivano in uno spiazzo di
fronte alla cocina economica.
Alle sei del mattino, quando mi recavo
al lavoro, li incontravo tutti acciambellati, nel freddo del deserto.
Aprivano gli occhi per vedermi passare e subito li richiudevano.
Mesi dopo qualcuno aveva predisposto
dei teli di plastica per proteggerli dalla pioggia e dal sole.
La sera, quando passeggiavo nel fresco
tramonto messicano, li vedevo correre accompagnati da una specie
di coyote grigio venuto da chissà dove.
Una volta li ho beccati che si
accoppiavano in uno spazio incolto sotto lo sguardo dei bambini
piccoli che li indicavano con il dito.
Approvai il loro stile perché i cani
maschi avevano fatto una fila e, pazientemente, aspettavano il
proprio turno.
Poi, ad un tratto, l'intero branco
sparì.
Pensai al peggio, all'accalappiacani e
ai suoi metodi spicci. Mi dissero invece che la cuoca della cocina
economica si era mossa a compassione e li aveva adottati in blocco.
E anche qui trovai un insegnamento
orientale, proprio dei cani zen: la pazienza e la gentilezza portano
al bene.
Proprio ieri, vicino alla cocina economica, ho visto un cartello che conteneva
le foto dei cani zen. Erano tutti ben nutriti e puliti (magari anche
sverminati e privi di pulci).
Ciascun cane aveva ricevuto un nome ed
erano in adozione ovvero candidati al premio massimo per un randagio:
una famiglia umana che li accolga.
Osservai i loro ritratti fatti di
occhietti color miele e lingue rosee, completamente soddisfatti della
loro esistenza, del loro percorso di vita.
Era il coronamento del loro sogno americano.
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