Se mi chiedete cosa amo dell'università
dove lavoro, rispondo senza esitare: il giardino perché mi lega a
ciò che ero stato in passato: un giardiniere (laureato in scienze
forestali).
Il giardino è opera dell'ingegno
umano, senza giardiniere non c'è giardino, dicono i saggi. E i
giardini, se ben progettati e tenuti, regalano idee e tranquillità
spirituale.
Passo varie ore alla settimana
passeggiando fra cactus, aberi di mezquite, pirules e acacie. Delle
volte passeggio in cerca di ispirazione altre volte, semplicemente,
per spostarmi da un'aula e l'altra. Ogni mattina un esercito di
giardinieri è impegnato a tagliare l'erba, potare, raccogliere le
foglie.
Il giardino mette di buon umore.
Ricordo l'università di Padova, grigia ed austera e la tensione
quasi palpabile che mi avvolgeva quando entravo in classe. Qui tutto
pare più tranquillo, nemmeno gli esami paiono tremendi con trecento
giorni di cielo sereno all'anno.
Il semestre passato avevo un buco di
tre ore fra le lezioni del mattino e quelle del pomeriggio. Così
facevo un po' di palestra, andavo a mangiare e poi cercavo un albero
propizio e facevo una siesta di mezz'ora. Dormivo come un angelo e, a
volte, avevo paura di russare e che una elegante studentessa potesse
sentire la mia sgradevole ronfata.
In questi giorni, nel giardino
dell'università ho assistito a qualcosa di straordinario; la
fioritura della Jaracaranda che rende la chioma di questi alberi
completamente azzurra-violetta.
L'effetto della Jacaranda in fiore è
quello di imbattersi in un albero extraterrestre, di essere finito in
un mondo fantastico.
Così ti fermi a guardare l'albero, ad
osservarlo in ogni sua parte. E' qualcosa che sfugge all'ordinario,
al concetto di: “gli alberi sono verdi”.
Alla fine ti allontani con la segreta
speranza di diventare anche tu un giorno, un uomo azzurro fra gli
uomini verdi; all'apparenza sembra così facile, alla portata di tutti.
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