Con un po' di reverenziale timore decido di andare
al concerto gratuito dei Molotov alla velaria di Aguascalientes.
Conoscete i Molotov? Qui troverete alcune informazioni sulla band;
probabilmente avrete ascoltato (o ascolterete) questa canzone in uno
dei programmi culturali di Radio Due, soprattutto quando esce fuori
il concetto di lotta sociale (I poveri contadini del Chiapas contro
gli opulenti latifondisti).
In effetti Molotov è uno dei pochi
gruppi in Messico che dice parolacce, fa denuncia politica e sociale;
in altre parole provoca. Chi ha tempo guardi questo documentario.
Per tutti gli altri, che ve ne pare della copertina del loro
album d'esordio? Si tratta di una ragazzina della scuola media (si
capisce dall'uniforme) con le mutande alle ginocchia; titolo
dell'album: “Dove giocheranno le bambine?”
Quanto a me, mentre attendevo l'evento, mi chiedevo se non
fossi troppo borghese per assistere ad un concerto del genere;
maestro di italiano che va in giro con i mocassini in pelle, i
pantaloni stirati e la camicia di cotone Oxford con i bottoni sul
colletto e che scrive sul suo blog post pseudo spirituali come “Unalbero azzurro fra gli alberi verdi” . Avevo diritto anch'io di
saltare e gridare il mio scontento sociale? Forse il pubblico avrebbe
fiutato la mia estraneità alla ribellione vedendomi così senza
tatuaggi e perforazioni e mi avrebbe malmenato.
Mi avrebbero creduto
se avessi detto loro: “E' il mio spirito ad essere ribelle, lo capite?” I dubbi morali mi rodevano l'anima ma, ad ogni modo, mi misi in coda
attendendo il mio turno per entrare nella mega velaria. Dopo pochi
minuti però capii che qualcosa non andava secondo le mie previsioni.
Davanti a me, in coda, c'erano due
mamme un po' sovrappeso che mangiavano tamales da una vaschetta di polistirolo. Avevano appresso due bambinetti di dieci anni che di lì
a poco avrebbero sentito parole quali “Puto”, “Chinga tu madre”
e “Verga” amplificate da altoparlanti potentissimi.
Non avevano l'aria delle
rivoluzionarie, anzi discutevano sull'opportunità di comprare delle
Coca Cole. Nella coda riconobbi anche alcuni dei miei studenti travestiti
per l'occasione da punk ed altri in abiti borghesi come se andassero a lezione.
Moltissimi ragazzi universitari, o giovani lavoratori e qualche
professionista; nessun pseudodelinquente, nessun emarginato, zero
zapastisti, nemmeno uno che distribuisse volantini, nemmeno un
cartello cattivo.
I giovani bevevano birra ed erano tutti sereni
e di buon umore. Facce rasate e fresche di doccia.
Dentro la velaria, il clima era quello
dell'approssimarsi di un concerto Rock.
Degli addetti alla sicurezza
perquisivano le persone che entravano mentre alcuni poliziotti
armati, non tantissimi, facevano delle ronde di ricognizione. Nel
centro della velaria il pubblico gonfiava preservativi e li usava
come fossero palloncini, si schizzava con le bottiglie d'acqua,
fumava e beveva birra.
Ogni tanto scrosciavano degli applausi di
incoraggiamento.
Poi, con un'ora di ritardo, (siamo in
Messico), fecero ingresso i Molotov. Cantarono tre canzoni e il
pubblico pareva apprezzare ma non si era stabilito un vero e proprio
contatto. Non si fondevano emozioni di rabbia, di voglia di
cambiamento, di condanna. No, niente di tutto questo. Il pubblico
saltellava e si tirava addosso l'acqua.
Una mamma addirittura allattava il
figlioletto in fasce.
Va detto che anche l'acustica non era delle
migliori; volume alto quanto si vuole ma poco definito.
Le voci
rimanevano dietro al suono distorto di chitarre distorte. Alcune
delle canzoni meno conosciute giungevano sotto forma di rumore
ritmico.
Dicevo che dopo la terza canzone uno dei cantanti disse
qualcosa come: “Cazzo, ragazzi, ma che cazzo avete questa sera?
Adesso vi cantiamo “Cane nero” e spero vi passi questa pigrizia
del cazzo.”
Invece il pubblico ondeggiava, si
atteggiava ma non mordeva. Ci fu un po' di riscossa con i tre brani
più conosciuti dove la gente (anch'io) cantava a squarciagola.
Voi sapete che i gruppi musicali hanno
i loro rituali in concerto e i Molotov, ad un certo punto, verso la fine,
abbandonano il palco. Vogliono che il pubblico li richiami gridando
“Puto! Puto!”, che letteralmente significa, "finocchio" ma in
questo contesto si traduce meglio con “Stronzo!”.
Gli abitanti di Aguascalientes
conosciuta come la "città della gente buona" pare che siano schivi a dire parolacce, specie “puto”, così
optarono per “culero”, stupido.
Insomma i Molotov, capirono l'antifona,
tornarono sul palco, cantarono la loro hit: “Puto”, e altri tre
pezzi prima di salutare e di andarsene.
Il pubblico sembrava soddisfatto ma
forse, sotto sotto, molti di loro avrebbero preferito la Banda Limon.
Ad ogni modo, il mio pezzo preferito dei Molotov si chiama Santo Niño de Atocha. Va sentito rigorosamente a tutto volume. Eccolo qui
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