Il 21 febbraio ho compiuto trentaquattro anni
così, nel giorno del mio compleanno, mi sono concesso qualche ora di
intima riflessione tuffandomi nei ricordi.
Ho riesumato vecchie lettere, appunti e
pensieri in formato “doc”, registrati sul disco fisso del
computer e gli ho dato un'occhiata. Poi ho pensato: “Cavoli, ero
veramente infelice laggiù in Italia.”
Non che la mia vita fosse
particolarmente dura o diversa da quella odierna, solo che là tutto
mi pareva dannatamente triste e senza via d'uscita.
Scrivevo di esperienze sentimentali
finite male, di lavori poco realizzanti e senza futuro, di eventi
sociali tragici e di malinconiche solitudini.
Leggendo i blog di italiani che vivono
in Italia, capisco non sono il solo e che anzi, questo pessimismo è
piuttosto comune. Date un'occhiata per esempio qui.
Il Messico ha agito su di me e mi ha
permesso di cambiare qualche paradigma mentale e quindi abbattere
ansia e preoccupazioni.
Paradigmi come questi:
E' troppo tardi! In Italia se
hai venticinque anni e non sei nel posto chiave sei vecchio e nessuno
ti vorrà più assumere, quindi si vive nell'angoscia che tutto vada
a rotoli. In Messico la gente è più rilassata; concentrati e prova,
dicono. Se va bene, va bene, altrimenti proverai qualcos'altro.
Se non hai molti soldi, vivrai male!
Almeno secondo quanto afferma la pubblicità. Niente in contrario a
crescere dal punto di vista economico ma, per il momento, ci si può
concedere molti lussi che non costano molto (fare sport in un parco
pubblico, visitare gli amici, leggere). Se alla quantità, preferiamo
la qualità, possiamo condurre la nostra esistenza con una certa
classe.
L'Italia non ce la fa, gli italiani
sono mediocri. La televisione, i giornali e chiunque incontriamo
continua a ripeterlo tutti i giorni, a tutte le ore. Spegnete tutto e
aprite la finestra della vostra camera. Vedete qualche disastro
all'orizzonte? Udite l'orda barbarica avvicinarsi?
Domani sarà diverso. In Italia
io (e la maggioranza dei miei coetanei), sperava in un piccolo
miracolo: un annuncio di lavoro sul giornale ad hoc, una chiamata
telefonica, o un incontro fortunato. Chissà perché poi non
succedeva niente del genere. Qui in Messico, so per certo, che non
sarà il caso che mi aiuterà. Se c'è una telefonata da fare, devo
farla io.
Quanta brutta gente c'è in giro.
Questo capitava quando contattavo qualcuno che non mostrava grande
interesse a conoscermi o peggio, si lasciava sfuggire qualche
commento insultante. Rimuginavo ferito per settimane solo perché ero
convinto che la gente dovesse per forza trattarmi bene. Ora invece so
che le persone si comportano secondo la loro natura a prescindere dal
nostro valore; se dall'incontro nasce qualcosa di interessante bene,
altrimenti passo oltre.
Il Messico è un paese meno nevrotico
dell'amata Italia; la gente vive con meno preoccupazioni, gode il
presente, progetta il futuro senza troppe angosce.
In fondo, come diceva Bill Hicks:
“Don't worry, don't be afraid because
this is just a ride”
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