Una volta il sindaco
di Verona aveva proposto la notte in cella per tutti quelli che
osavano barcollare in centro storico dopo le undici di sera, magari
cantando una canzonaccia. Il sindaco sceriffo pensava al rigore del west
americano.
«Ti portiamo in cella, Joe, così la smaltisci»
In Messico questa
pratica è molto diffusa, anche ad Aguascalientes. Durante una
lezione di italiano in una scuola superiore è venuto fuori che uno
studente si era fatto il sabato sera in cella per essere stato
fermato ubriaco. Chiesi «Quanti fra voi sono stati in cella?»
Tutto il gruppo alzò
la mano ad eccezione dell'unica ragazza presente.
«E tu?» le
domandai.
«Io non ci sono
stata, ma sono andata a prendere mio fratello».
Allora volli sapere
di più. Mi dissero che le pattuglie di polizia ricevono denaro extra
per ogni individuo sospetto che conducono in cella (Qui la cella si chiama C4).
Così le pattuglie notturne vanno a caccia. Teoricamente
dovrebbero fermare gente sospetta, ubriachi o facinorosi per evitare
che combinino qualche guaio.
Solo che non sempre il territorio offre selvaggina in abbondanza e allora va bene un tizio qualsiasi, soprattutto
se è di pelle scura, vestito male, insomma il genere di persona che
non ha mezzi per protestare o denunciare un sopruso, uno di quelli
che considera la notte in cella come banale imprevisto.
L'accusa che muove il
poliziotto è quasi sempre la stessa: 'rissa'. Prima di portarti in
cella ti ammanettano e ti sbattono sul sedile posteriore, poi
completano il giro per fare un bel carico.
Una domenica
pomeriggio ho visto che portavano via una decina di ragazzi vestiti
in stile hip hop in un pick up.
Nei veicoli che li portano via i prigionieri siedono stretti, a
contatto di natica; ubriachi, spacciatori, drogati insieme ad
adolescenti, giovani che tornavano a casa magari un po' brilli.
Non ho ben chiaro
cosa succeda in cella. Da ciò che mi hanno raccontato gli studenti
ai prigionieri vengono tolti gli effetti personali, la cintura e i
lacci delle scarpe .
Poi vengono schedati e sbattuti dentro.
L'ambiente non è dei più cordiali. I poliziotti sono
brutali e non ci pensano due volte ad alzare le mani. Per i casi
minori il fermo va dalle sei ore alle dodici, se invece l'accusa è
grave bisogna 'suonare il pianoforte', ovvero vengono prese le
impronte digitali e si è rinviati a giudizio.
Quasi sempre il tutto
si risolve in una lunga e improbabile chiacchierata con bordenline strafatti,
oppure con i poliziotti che si divertono da matti ad intimidire,
insultare, prendere in giro e praticare altri innocui atti di
violenza psicologica.
La reazione violenta
di un prigioniero è un'occasione d'oro per provare la gioia infinita
di praticare un pestaggio dieci contro uno, manganellare, dare calci
con gli scarponi e vedere una faccia gonfiarsi di ematomi.
Per alleviare il
disagio della prigionia ogni tanto viene servita dell'acqua. Tutti,
compresi i malati contagiosi,
bevono dallo stesso bicchiere di latta.
La mattina dopo, ai
prigionieri, vengono riconsegnati gli effetti personali
«E il mio
cellulare?»
«Quale cellulare?
Non avevi nessun cellulare.»
«E i soldi che avevo
nel portafogli?»
«Di che soldi parli,
non vedi che sei un povero in canna? Tu non hai mai avuto soldi.»
Fuori la variopinta
marmaglia fa ritorno alle proprie case a piedi. Mi hanno raccontato
di qualche sfortunato che, sulla via del ritorno, venne fermato da
un'altra pattuglia e risbattuto in cella per altre sei ore.
Pino Cacucci, nel suo
libro La polvere del Messico racconta che a Tijuana spesso vengono
sbattuti dentro gringos ubriachi e molesti i quali pagano i
poliziotti perché gli facciano qualche fotografia con le loro
macchine digitali per vantarsi poi con i colleghi d'ufficio.
«Ehi! Abbiamo fatto
su un casino che poi ci hanno messo dentro! Vedi qui, sono in una
vera prigione messicana!»
Va beh, mi fermo qui.
Come avete capito la notte in cella è una stupidaggine colossale,
soprattutto se, a distinguere le forze dell'ordine dai delinquenti, è
solo la divisa.
Occhio quindi ai
sindaci, sceriffi e alle loro trovate in stile 'americano'.
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