Come si celebra in Italia la fine di un
corso, di un anno scolastico, o di una stagione sportiva? Ricordate?
Si va a mangiare la pizza. Nel mese di giugno le pizzerie sono sempre
piene di gruppi chiassosi che festeggiano la fine di qualcosa.
Qui in Messico insegno italiano, così
ho pensato di portare nella terra dei Maya questa bella abitudine
italica.
La prima volta per il locale non c'è
stato problema; Aguascalientes, come del resto molte altre cittadine
messicane, è piena di pizzerie e di ristoranti italiani.
La prima volta i miei alunni mi
portarono ad una pizzeria – merendero gestita da messicani che si
chiamava “Pizza Nostra”, un luogo all'aperto con molte
suggestioni tratte dal film il “Padrino”.
Che strano, pensavo, anche in Norvegia
mi ero imbattuto in un luogo che si chiamava “The Godfather”.
Italia: pizza, mafia e mandolino.
E' un po' come se i messicani aprissero
ristoranti all'estero e li chiamassero: “Dal Chapo Guzman”, o
“Merendero Los Zetas”, piuttosto che “Tacos de los narcos”.
Beh, avete capito dove voglio parare;
per me la criminalità non fa parte del folclore di un paese.
Nonostante tutto, la serata al “Pizza
Nostra”, con gli studenti fu molto divertente.
Forte del successo, proposi anche ad un
altro gruppo di uscire fuori a mangiare. Questa volta non si trattava
di studenti universitari bensì di due studenti esterni; un
imprenditore con la passione per i viaggi e una giovane ereditiera
che amava la fotografia che sarebbe partita per Milano per
perfezionarsi nell'arte.
Appena proposi l'idea, il capitano di
industria, si illuminò tutto.
“Ma sì!” disse: “Possiamo andare
alla Perla Negra.”
“Dai andiamoci!” Feci io cavalcando
l'onda dell'entusiasmo. Nella mia mente si figurò un posto informale
dall'arredamento caraibico, simile a quei locali sulla riviera
adriatica dove ci si va d'estate, in pantaloni corti, ad ubriacarsi
con gli amici.
Dopo l'esame finale partimmo alla volta
della “Perla Negra”.
Salii sulla macchina dell'imprenditore
che era una BMW rossa fiammante, sulla quale, pareva, la polvere non
amava depositarsi; non ce n'era nemmeno una particella.
Quando girò la chiave di avviamento,
il computer di bordo ci diede alcune informazioni importanti come la
temperatura interna ed esterna con la precisione di una cifra
decimale, la distanza dal marciapiede e dalle altre macchine
parcheggiate dopodiché fece partire in automatico un cd di musica
italiana: “I grandi successi, degli anni '60”
“Me lo sono comprato la settimana
scorsa.” Mi informò l'imprenditore. Annuì solennemente approvando
la scelta.
Sfrecciavamo per una grande Avenida
latino americana con Edoardo Viannello che cantava “Abbronzatissima”.
Appena arrivammo, capii che “la Perla
Negra” di Aguascalientes non era affatto la “Perla Nera” di
Eraclea Mare.
Me ne resi conto subito. Un giovane con
i capelli all'indietro si avvicinò all'imprenditore e gli disse:
“Prego, dia a me la sua macchina, sarà un piacere, per me,
parcheggiarla e custodirla”. Al Perla Nera di Eraclea Mare questo
non succedeva.
Scendemmo dalla macchina ed entrammo
nel ristorante. L'arredamento era moderno, di tipo internazionale, lo
stesso genere di posto si può tranquillamente aprire negli Stati
Uniti o in Canada. Un regista di Hollywood ci ambienterebbe una cena
di lavoro.
Posate e bicchieri brillavano come
gioielli e i tovaglioli erano di tela bianca.
Si avvicinò un altro giovane con una
camicia perfetta.
“Il mio nome è José”, disse: “E
avrò l'onore di servire al vostro tavolo.”
Poi prese i tovaglioli
e ce li mise sulle ginocchia. L'ereditiera e l'imprenditore rivolsero
un sorriso al cameriere; erano a perfettamente loro agio
nell'ambiente che, credo, considerassero adatto ad una cenetta
informale per spezzare la settimana. Nel mio caso, invece era la
prima volta in assoluto che qualcuno si sentisse “onorato” di
servirmi.
Il tavolo accanto al nostro era
occupato da uomini giovani e biondi, in giacca e cravatta, che
parlavano inglese.
Accettai il menù che, servilmente, mi
porgeva il cameriere. Lo aprii però con sicurezza come un soldato
che gonfia il petto e va incontro a morte eroica.
Come mi immaginavo, tutto ciò che
compariva nel menù costava più di quello che avevo guadagnato nel
pomeriggio; non potevo permettermi nulla.
E qui sorpresi me stesso.
In Italia avrei trovato un scusa per
andarmene o avrei detto che davvero non avevo fame e mi sarei
accontentato di un caffè. Chiesi invece all'imprenditore cosa mi
raccomandasse, quale fosse la specialità del ristorante.
Mi suggerì una bistecca argentina
dalle dimensioni colossali con contorno di verdure alla griglia.
Costava il doppio di quello che avevo in tasca.
“Vada per la bistecca!”, dissi: “Ho
appetito”.
Intanto l'ereditiera era al telefono.
Disse: “C'è mia cugina sola a casa, posso invitarla?” Non attese
risposta: “Sarò qui fra dieci minuti.”
(Continua...)
ma si... ha più senso fuggire dopo aver mangiato, prima che arrivi il conto!
RispondiElimina...è un classico!
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