“Cercano un maestro di italiano nella scuola X”. Mi disse un giorno la signora Alberta. Andai a consegnare il curriculum senza particolari slanci anche perché lo avevo già consegnato l'anno prima senza però essere contrattato.
Pensavo di consegnarlo alla segretaria
invece si fece avanti un signore dall'aria efficiente che mi si
rivolse in inglese. Pensai fosse americano. Indossava una camicia a
maniche corte, pantaloni di cotone e mocassini.
Dette un'occhiata al curriculum e mi
fissò un colloquio con la direttrice per l'indomani.
Quando tornai, tirato a lustro, per
vendermi, la direttrice era occupata.
Mi fecero ad ogni modo accomodare in
una saletta e poco dopo entrò il signore del giorno prima. Si
presentò come: “Jhon”, nome inventato.
Il colloquio cominciò in inglese ma
poi, leggendo il mio curriculum, Jhon decise di continuare in spagnolo.
“C'è scritto che parli spagnolo.”
Mi fece una serie di domande leggendole
da un apposito formato. Poi, ogni tanto, divagavamo. Jhon non era
americano come credevo bensì svedese.
“Sono stato in Scandinavia.” Gli
dissi e subito pensai, che diavolo ci fa uno svedese in Messico? La
Svezia è uno degli stati più moderni e benestanti d'Europa. Capisco
che un italiano o uno spagnolo possa trovare conveniente il Messico,
ma uno svedese?
Jhon mi fece il primo corso per maestri
di lingua previsto nella scuola X. La scuola X ci tiene a queste
cose, ha il suo metodo di insegnamento e bisogna seguirlo alla
lettera.
Era strano partecipare ad un corso di
insegnamento di lingue straniere tenuto da uno svedese che sapeva
tutto di Simple past e di Present Continuous.
Forse perché, con i norvegesi, avevo
sempre parlato di boschi di caccia e di pesca.
Come tutti gli scandinavi anche Jhon
era un tipo molto riservato. Si beveva svariate tazze di caffè
solubile, camminava con le spalle ben indietro e cercava di assumere
un atteggiamento vagamente stronzo, tipo dirigente di multinazionale
ma non gli riusciva.
C'era del buono in lui e nemmeno sforzandosi
poteva nasconderlo. Ogni tanto cercavo di capire quanti anni avesse,
ma era difficile; sicuramente più di quaranta ma meno di cinquanta.
Divenne il mio coordinatore. Ogni tanto
ci mandava una mail da coordinatore del tipo:
“Cari maestri è
vostro preciso dovere arrivare in orario. Se arriverete in ritardo la
prima volta sarete ammoniti e poi multati di 200 pesos.”
Aveva il suo cubicolo al primo piano e
spesso andavo a visitarlo per riferire
le novità dei miei gruppi. Lavorava la
mattina, faceva una pausa pranzo e riattaccava verso le cinque.
Era, da sempre, un maestro di inglese.
Parlava correttamente, oltre allo svedese e all'inglese, francese,
spagnolo, arabo e norvegese.
Parlando di metodi di insegnamento e
mi confessò che a Città del Messico si era iscritto ad un corso per
piloti d'aereo da turismo ma l'istruttore si limitava a dettare la
parte teorica. Quindi a questo tizio piace volare, pensai. Come a me.
Un giorno lo informai che partecipavo
ad un club di lingue e mi chiese se poteva accompagnarmi. Mi sorpresi
perché gli scandinavi che ho incontrato fin'ora sono piuttosto
gelidi e non li credevo capaci di tanta socievolezza.
Gli diedi appuntamento nella piazza
principale di Aguascalientes, dicendogli che sarei arrivato più o
meno alle otto e mezzo. Arrivai alle otto e trentatré e lo sorpresi
che guardava preoccupato l'orologio.
“Ehi, non siamo alla scuola X”,
pensai, “tre minuti è solo ritardo di cortesia.”
Dovevamo camminare per circa mezz'ora,
per lui non era un problema. Quella sera Jhon si sentiva espansivo e
mi raccontò qualcosa di lui.
La Svezia è un paese con politiche
sociali molto avanzate. Gli studenti sono pagati per andare
all'università e lo stato incentiva gli anni sabbatici e i periodi
di studio o di lavoro all'estero, ciò con il fine di formare dei
buoni professionisti che poi daranno lustro alla nazione con il loro
lavoro.
Quindi, contributi, incentivi, borse di
studio e opportunità che un po' quello che ogni persona si aspetta
dal proprio governo.
Credo però che Jhon non si trovasse
molto bene in Svezia; la definiva un paese troppo freddo, dove la
gente, dopo il lavoro, se ne torna a semplicemente casa.
Lui invece aveva viaggiato e, come dice
il detto, non sono le persone che fanno i viaggi ma i viaggi che
fanno le persone, era cambiato; aveva scoperto l'umanità.
Israele, Irlanda, Stati Uniti, Canada,
Arabia Saudita, Messico.
Amava viaggiare, conoscere posti e
persone.
Alcuni dei suoi periodi all'estero sono
stati legati a fidanzamenti, temo tutti conclusi. Il Messico lo ha
conosciuto ad Israele dove conobbe una ragazza di Città del
Messico con la quale aveva poi mantenuto una lunga relazione epistolare.
Quando poi
si decise a raggiungerla nella terra dei Maya, la storia vera durò ben poco.
“Un conto è scriversi, un conto è
vivere assieme”. Mi disse Jhon.
Ad ogni modo, dopo la relazione, Jhon
decise di rimanere in Messico.
Città del Messico, San Luis Potosì e
poi Aguascalientes.
Non credo che qui abbia legato
moltissimo con i maestri. Piuttosto che chiacchierare al cambio
dell'ora Jhon rimaneva nel suo cubicolo, a scorrere siti web di film
e ad ascoltare la CNN.
L'errore che fece, secondo me, fu
quello di inimicarsi la signora delle pulizie. Come dice Chuck Palahniuk, bisogna sempre avere la working class nostra alleata. Non
è obbligatorio leccare il culo al capo; se sei uno che da risultato,
puoi evitarti questa parte. Bisogna però rivolgere sempre una parola
gentile a custodi, parcheggiatori, camerieri e agli incaricati delle
pulizie.
In caso di rivoluzione ti salvi dalla
ghigliottina.
Jhon non lo fece così fu vittima di chiacchiere cattive.
Qualche giorno fa ci hanno convocati
per una riunione “importante”. Lo hanno anche scritto su una
bacheca: “Important meeting today at 13.00”. Ci sono andato.
Un pezzo grosso della Scuola X ci ha
avvisato dei prossimi cambiamenti di organico. John aveva espresso il
desiderio di tornare a Città del Messico come semplice maestro di
inglese, mentre l'attuale direttrice voleva tornarsene in Brasile
dopo sei anni e tre figlie nate in Messico.
“Insomma John”, gli dissi: “Torni
a Città del Messico.”
“Sì”, rispose: “A me piace
l'insegnamento, e guadagnare un po' meno non è un grande problema. A
Città del Messico ho più amici e l'orario mi permetterà di fare
più cose. Questo mese viaggerò nei dintorni e
a Zacatecas.”
“Buon viaggio, dunque.”
ciò che vogliamo sembra sempre più lontano
RispondiEliminaPurtroppo...
EliminaQuando insegnavo in Italia la regola n uno era: sono le bidelle ad avere il potere, non il dirigente. Quello cambia ogni anno, le bidelle restano. É strano vedere le stesse dinamiche in Messico.
RispondiEliminaChi ha in fondo il potere, i genitori laureati o il neonato che strilla alle tre di notte?
Eliminaalla fine sono dinamiche tra persone... e tutto il mondo è paese, per queste cose. è SEMPRE saggio avere le bidelle dalla propria ;)
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